“Quando sono debole è allora che sono forte”

Suor Elena Bosetti riflette sul paradosso paolino

di Antonio Gaspari

In tutta la storia, con particolare rilevanza nei periodi di decadenza, è possibile scorgere una corrente culturale che esalta la perfezione materiale, la forza muscolare, la durezza del cuore.

Per questo suona del tutto paradossale l’affermazione di San Paolo riportata nella lettera ai Corinzi (2Cor 12,10), secondo cui “quando sono debole è allora che sono forte”.

Si tratta di un paradosso che è insito anche nella vicenda di Gesù Cristo, il Figlio di Dio che accetta di farsi uccidere sulla Croce da quegli uomini che è venuto a salvare.

Per cercare di comprendere il significato profondo di questo paradosso, ZENIT ha intervistato suor Elena Bosetti, docente di Sacra Scrittura alla Pontificia Università Gregoriana, che sul tema ha scritto un saggio pubblicato sulla Rivista dell’Istituto Internazionale di teologia Pastorale Sanitaria “Camillianum” (n.25 anno IX, Primo quadrimestre 2009).

Nella lettera ai Corinzi San Paolo ha scritto “quando sono debole è allora che sono forte”. Che cosa intende dire?

Bosetti: Anzitutto mi sembra che Paolo faccia riferimento a una sua esperienza concreta, esistenziale. Evoca una situazione di debolezza fisica o psicologica, quale una infermità o uno stato d’animo provato, depresso. Egli non si vergogna di ricordare ai Corinti la situazione di debolezza, umanamente parlando sfavorevole, che ha caratterizzato la sua opera di evangelizzazione in mezzo a loro. Ma riflettendo su tale situazione egli vi coglie qualcosa di sorprendente: l’energia del Risorto. L’Apostolo ritiene di essere “forte” nella sua debolezza in quanto coinvolto nella dinamica vittoriosa del Crocifisso risorto.La debolezza che diviene occasione fortezza d’animo non è del tutto estranea all’esperienza umana. Ci sono numerose testimonianze di uomini e donne (anche non credenti) per le quali situazioni disperate e di deriva umana sono diventate momento di grande cambiamento, hanno ricuperato grandi valori che avevano smarrito. In altre parole, attraverso la “debolezza” queste persone sono diventate più uomini e più donne. Nel leggere queste storie il credente non si sconcerta, ma vi legge la mano della Provvidenza.

L’assunto di San Paolo è paradossale, sembra contrario alla logica umana. Che cosa ha sperimentato San Paolo per giungere a tale considerazione?

Bosetti: In effetti Paolo ama il paradosso. Non per fare l’originale ma per quella sua capacità acuta di cogliere le polarità che attraversano la storia e la vicenda umana dentro cui si iscrive l’azione salvifica di Dio che agisce in modo illogico secondo la sapienza del mondo. Il mondo infatti elogia la forza e la potenza, mentre Dio per salvare il mondo ha imboccato e percorso fino in fondo la via della debolezza e della kenosis, ovvero del volontario abbassamento e svuotamento di sé. Non ci ha “usati” per farsi più grande e bello. Al contrario, si è lasciato “ferire” dalla nostra miseria e tristezza e se ne è fatto carico, oltre ogni buon senso, fino all’infamia della croce.

Che tipo di Dio è quello di cui parla San Paolo?

Bosetti: È il Dio dei paradossi! In realtà tutta la storia biblica concorda nel rivelare un Dio che sembra divertirsi a capovolgere le “sorti” (o situazioni) come racconta il libro di Ester e come canta la vergine Maria nel suo Magnificat: “i potenti li ha deposti dai troni, ha innalzato gli umili…” (Luca 1,52). Dio stesso nel suo appassionato amore per l’umanità si avventura nel paradosso più sconcertante che è quello dell’Incarnazione. Nella lettera ai Filippesi Paolo presenta un Dio che si abbassa e si svuota di ogni pretesa divina per farsi in tutto simile all’uomo, anzi si abbassa fino alla terrificante morte di croce per amore della sua creatura.

San Paolo parla del Dio che ha sperimentato personalmente come amore: «Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Galati 2,20); del Dio che l’ha reso forte nell’amore, niente e nessuno «potrà mai separarci dal’amore di Dio che in Cristo Gesù, nostro Signore» (Romani 8, 39). In questo sta la fortezza di San Paolo che gli permette di uscire da ogni debolezza.

E qual è l’idea di salute e di salvezza dell’apostolo delle genti?

Bosetti: Paolo ha una visione organica e complessiva della salute. Se il piede sta male tutto il corpo soffre. Così la Chiesa, che per Paolo è il corpo di Cristo. Non si tratta quindi di salvare semplicemente la propria anima. È in gioco la salute di tutto il corpo ecclesiale e dell’intera famiglia umana. Anzi occorre avere sensibilità anche per il gemito della creazione, la quale nutre anch’essa il desiderio di essere liberata e di entrare nella salvezza definitiva, nella libertà dei figli di Dio (cf. Romani 8).

Nel corso della storia umana e nel mondo moderno la figura del debole e malato viene mal tollerata. Perchè nella religione cristiana Dio ha scelto ciò che è debole?

Bosetti: Si direbbe per un moto di amore misericordioso e straordinariamente divino. Dio rivela se stesso in coloro che si fidano di lui e gli lasciano spazio di azione. Per la Bibbia sono i poveri e i piccoli, coloro che non strumentalizzano Dio per i propri interessi o progetti di grandezza, ma che al contrario si fidano di Lui in ogni situazione.

La figura del debole e del malato è mal tollerata dove domina la cultura efficientista, utilitarista… Il dolore e la sofferenza bloccano la persona se non ne vede alcun senso, rimane solo la debolezza che schiaccia. Perché la fortezza abbia il sopravvento sulla debolezza, occorre passare e fare propria l’esperienza di San Paolo. Dio ha scelto (e sceglie) ciò che è debole, perché questa è la logica dell’amore, e Dio è specializzato in amore.

E qual è la dimensione antropologica e civile che distingue l’umano nell’aiuto ai deboli?

Bosetti: è la distinzione che passa tra la filantropia e l’amore carità. La filantropia è un sentimento nobile che porta l’individuo o gruppi umani (società filantropiche ) verso i bisognosi per renderli felici. L’amore-carità unisce l’amore di Dio con l’amore del prossimo, anzi si fa prossimo al bisognoso, imita il Buon Samaritano che è Gesù stesso. Ovviamente non c’è contrapposizione, ma la filantropia ha bisogno di immettersi nella forza dell’amore-carità.

Che Dio è quello che manifesta nella debolezza la potenza salvifica del suo amore?

Bosetti: È un Dio umile, che vince dal di dentro le pretese dell’orgoglio satanico condividendo la fatica e il dolore degli umani. È un Dio che non salva se stesso scendendo dalla croce, ma che apre le porte del paradiso al malfattore che si rivolge a lui nell’agonia del suo patibolo.

È un Dio che salva sacrificando se stesso, non gli altri; è il Dio che vince con l’amore: l’unica potenza che trasforma l’umanità se viene accolta pienamente nella Chiesa e nella società.

Fonte: it.zenit.org