San Giuseppe Moscati – il medico santo

Nacque a Benevento, ma ben presto fu “adottato” dalla città di Napoli. Non smise di prestare la sua instancabile opera a servizio degli infermi, senza mai chiedere la parcella ai poveri. E mentre sanava i corpi, allo stesso tempo curava amorevolmente le anime.

Prima di iniziare l’autopsia, si fa il segno della Croce da­vanti al cadavere che gli hanno portato. Poi dovrà ta­gliare, aprire, esaminare, nell’interesse della scienza. Ma innanzitutto rende onore a quel corpo che Dio ha ama­to e fatto vivere. Un gesto consueto per Giuseppe Moscati, il medico italiano nostro contemporaneo, il laico proclama­to santo da Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1987.

Nato nel 1880, settimo dei nove figli di un magistrato, Giuseppe segue i trasferimenti del padre da Benevento ad Ancona e poi a Napoli, dove nel 1903 consegue la laurea a pieni voti in medicina. Lavora dapprima agli Ospedali Riuniti, poi a quello di Santa Maria del Popolo, detto degli “Incurabili”, nel quale diventerà primario per esami nel 1911. Vive tra scienziati illustri, maestri di medicina quasi tutti positivisti e materialisti; rigidamente avversi alle cose di fede, questi luminari riconoscono però in Moscati l’uo­mo votato alla scienza.

Si succedono per lui gli incarichi di responsabilità: cura degli infermi, direzione della ricerca, insegnamento. Un ricco curriculum medico, accanto al quale non ce n’è un al­tro speciale e distinto: un curriculum da santo. Lui è medi­co e santo insieme, ogni giorno. Per lui vivere è lavorare, è pregare, è studiare. A un giovane medico scrive: «Non la­scerete di coltivare e rivedere ogni giorno le vostre cono­scenze. Il progresso sta in una continua critica di quanto apprendiamo». E lui non “lascia di coltivare” anche la pro­pria formazione culturale cristiana, di pari passo con quel­la scientifica.

Ricerca quotidiana e comunione quotidiana: per lui so­no due momenti dello stesso impegno. Per deriderne la fe­de, qualcuno lo attira in un equivoco tranello, e lui si “ven­dica” entrando a pregare in una chiesa, per tornare poi tranquillo al microscopio, alla corsia, agli studenti. Sarà considerato un precursore della moderna biochimica. E in­tanto, già sui trent’anni, le sue diagnosi fulminee ed esatte lo rendono famosissimo, molto stimato anche dal sommo clinico Antonio Cardarelli. Insomma, ha tutto per diventa­re uno dei massimi “baroni”.

Ma Giuseppe si sente soltanto veicolo di conoscenze pro­venienti da Dio e destinate a chi soffre. Per le visite in casa, l’onorario è regolato da un cestino con una scritta: Chi può metta qualcosa, chi ha bisogno prenda. Quando il malato è lontano e povero, è lui stesso che gli porta anche denaro. Come porta l’aiuto spirituale durante le cure e do­po, come si preoccupa di raddrizzare esistenze, di orienta­re i confusi. Sempre medico e sempre apostolo, a ritmo intensissimo. Un’esistenza consumata presto, a soli 47 anni. Il 12 aprile 1927, giorno della sua morte, è stato ancora giorno di visita. Tre anni dopo, le sue spoglie sono state tu­mulate nella chiesa del Gesù Nuovo in Napoli.