Come la domenica delle Palme di quasi 2000 anni fa a Gerusalemme, anche oggi Gesù viene al nostro cuore ferito, impaurito, addolorato in un modo singolare: cavalcando un asinello.
Siamo al termine della Quaresima, una Quaresima molto particolare: in alcune città d’Italia, il suo inizio è praticamente coinciso con l’interruzione della celebrazione della Santa Messa aperta al pubblico. Una Quaresima, per moltissime persone, senza o quasi Eucaristia. Ci aspetta una Settimana Santa, per moltissime persone, senza i tradizionali riti del Giovedì e Venerdì Santo… senza la Veglia Pasquale e, forse, la Messa a Pasqua…
Ritornano alla mente e al cuore le parole con cui Luca inizia il racconto dell’Ultima Cena: Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione (Lc 22, 15). Gesù desidera stare intimamente unito a noi e il suo desiderio non si ferma di fronte a niente. Come il pastore con la pecorella smarrita, ci cerca finché non ci trova (cfr. Lc 15, 4), con la consapevolezza che non esistono ostacoli insormontabili per il suo Amore: Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore (Rm 8, 35. 37-39). Questa è la sorgente viva della nostra speranza! Nulla potrà mai separarci dall’unica dimensione essenziale della nostra esistenza: l’Amore di Gesù per ciascuno di noi.
Ma, come la domenica delle Palme di quasi 2000 anni fa a Gerusalemme, anche oggi Gesù viene al nostro cuore ferito, impaurito, addolorato in un modo singolare… Viene cavalcando un asinello: Il giorno seguente, la grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!». Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina (Gv 12, 12-15).
Non è un ingresso trionfale: paragonato a quelli degli imperatori romani al ritorno dalle loro vittorie, l’ingresso di Gesù a Gerusalemme è davvero povero. Questi giorni, che speriamo stiano volgendo al termine, ci hanno insegnato anche questo: Gesù non ci viene incontro secondo modalità eclatanti. Viene cavalcando un asinello: l’asinello dell’umanità concreta e ferita – magari noiosa! – di quella persona, e di quell’altra, e di quell’altra… Quando lo riconosciamo e gli apriamo le porte del nostro cuore, scopriamo più profondamente che questa comunione con Gesù attraverso la comunione tra di noi è l’unica roccia davvero solida su cui fondare la nostra vita. È la scoperta rinnovata che tanti di noi hanno fatto in queste giornate: l’importanza di una telefonata, di un Rosario detto insieme via internet o di una videochiamata.
La fine dell’emergenza sanitaria sarà, secondo quanto dicono gli esperti, l’inizio di una nuova emergenza umana ed economica, nella quale continuare a mettere in gioco quell’apertura commossa all’altro che soffre – asinello di Gesù -, che abbiamo sperimentato più fortemente in queste settimane. Perché il nostro cuore è il reparto di terapia intensiva dove si cura il più letale dei virus: la solitudine.
E forse sarà questa allora la nostra Pasqua più bella: il passaggio (questo vuol dire il termine ebraico Peshaq, che viene tradotto con Pasqua) verso una vita forse economicamente più modesta e faticosa, ma molto più ricca di relazioni, di solidarietà, di comunione, di fraternità.
Tratto da una meditazione di Don Armando Catapano