Cristo presente nei cristiani

Applicazione alla vita ordinaria

Abbiamo scorso alcune pagine dei Vangeli per contemplare il rapporto di Gesù con gli uomini e imparare anche noi a condurre a Cristo i nostri fratelli, essendo noi stessi Cristo. Applichiamo questa lezione alla vita quotidiana, alla nostra vita. Perché la vita ordinaria, quella che noi viviamo in mezzo agli altri concittadini, uguali a noi, non è mai banale e irrilevante. È proprio questa la condizione nella quale il Signore vuole che si santifichi l’immensa maggioranza dei suoi figli. È necessario ripetere continuamente che Gesù non si rivolse a un gruppo di privilegiati, ma venne a rivelare l’amore universale di Dio. Tutti gli uomini sono amati da Dio; da tutti Dio aspetta amore. Da tutti, qualunque sia la condizione personale, la posizione sociale, la professione o il mestiere. La vita ordinaria non è cosa di poco conto; tutti i cammini della terra possono essere occasione di incontro con Cristo, che ci chiama a identificarci con Lui, per realizzare troviamo — la sua missione divina. — nel posto in cui Dio ci chiama attraverso i fatti della vita di ogni giorno, le sofferenze e le gioie delle persone con cui viviamo, le preoccupazioni umane dei nostri compagni, le cose spicciole della vita di famiglia. E Dio ci chiama anche per mezzo dei grandi problemi, dei conflitti e dei compiti che caratterizzano ogni epoca storica e suscitano gli sforzi e gli entusiasmi di gran parte dell’umanità. Si comprendono benissimo l’ impazienza, l’ansia, i desideri inquieti di coloro che, con un’anima naturalmente cristiana (cfr TERTULLIANO, Apologeticum , 17 [PL 1, 375]), non si rassegnano di fronte all’ingiustizia personale e sociale che il cuore umano è capace di creare. Sono tanti i secoli della convivenza degli uomini, e tanto è ancora l’odio, tante le distruzioni, tanto il fanatismo accumulato in occhi che non vogliono vedere e in cuori che non vogliono amare. Vediamo i beni della terra divisi tra pochi e i beni della cultura chiusi in cenacoli ristretti. Fuori, c’è fame di pane e di dottrina; e le vite umane, che sono sante perché vengono da Dio, sono trattate come cose, come numeri statistici. Comprendo e condivido questa impazienza: essa mi spinge a guardare a Cristo che continua a invitarci a mettere in pratica il comandamento nuovo dell’amore. Tutte le situazioni in cui veniamo a trovarci nella vita ci portano un messaggio divino, chiedono una risposta d’amore, di donazione agli altri: Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sini stra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: « Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi ». Allora i giusti gli risponderanno: « Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? ». Rispondendo, il re dirà loro: « In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me » ( Mt 25, 3140). Occorre riconoscere Cristo che ci viene incontro negli uomini, nostri fratelli. Nessuna vita umana è isolata; ogni vita si intreccia con altre vite. Nessuna persona è un verso a sé: tutti facciamo parte dello stesso poema divino che Dio scrive con il concorso della nostra libertà. Non c’è nulla che sia estraneo alle attenzioni di Cristo. Parlando con rigore teologico, senza limitarci a una classificazione funzionale, non si può dire che ci siano realtà — buone, nobili, e anche indifferenti — esclusivamente profane: perché il Verbo di Dio ha stabilito la sua dimora in mezzo ai figli degli uomini, ha avuto fame e sete, ha lavorato con le sue mani, ha conosciuto l’amicizia e l’obbedienza, ha sperimentato il dolore e la morte. Perché piacque a Dio di fare abitare in Cristo ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, riappacificando con il sangue della sua croce le cose che st anno sulla terra e quelle nei cieli ( Col 1,1920). Dobbiamo amare il mondo, il lavoro, le realtà umane. Perché il mondo è buono: il peccato di Adamo ruppe la divina armonia del creato, ma Dio ha inviato suo Figlio Unigenito a ristabilire la pace. E così noi, divenuti figli di adozione, possiamo liberare la creazione dal disordine e riconciliare tutte le cose con Dio. Ogni situazione umana è irripetibile, è il risultato di una vocazione unica che si deve vivere intensamente, realizzando in essa lo spirito di Cristo. E quando si vive cristianamente fra i propri simili, in maniera non appariscente ma coerente con la fede, ciascuno di noi è Cristo presente fra gli uomini.